La sera del 15 febbraio 1930 la Comédie Française apre il sipario sul nuovo spettacolo di Jean Cocteau.

Sulla scena che si presenta al pubblico, sospettoso nei confronti di un artista troppo originale nell’arte e nella vita, ci sono l’attrice Berthe Bovy e un telefono. Lo spettacolo è composto da un atto unico: una sola scena costituita da una stanza spoglia, un solo personaggio parlante.

La storia è semplice, come «semplice» è la sua protagonista, che cerca, attraverso un’ultima conversazione telefonica, di salvare l’amore che prova per l’uomo che la sta abbandonando, di salvarne almeno il ricordo.

Scrive Cocteau nelle note di regia: “Il personaggio è una vittima mediocre, totalmente innamorata, che tenta un solo inganno: tendere un appiglio all’uomo perché confessi la sua menzogna e non le lasci  quel meschino ricordo”.

Il testo è un lungo monologo disperato e commovente o, meglio, un dialogo simulato in cui il pubblico, dalle parole di uno solo dei due interlocutori telefonici, deve immaginare anche le parole e i toni dell’altro. In questo testo i silenzi, le pause, le esitazioni raccontano quanto le parole.

 La protagonista è una donna comune che vive un dolore universale, una disperazione d’amore in cui tutti possono riconoscersi. Forse è proprio questa una delle ragioni del successo della pièce, che è ancora oggi non solo uno degli spettacoli più rappresentati al mondo, ma anche uno dei testi assunti più volte a oggetto di riscrittura e adattamento.

La Voix humaine di Cocteau è diventato negli anni quasi un testo da manuale di recitazione, la grande prova attoriale per antonomasia, il banco di prova su cui le grandi attrici devono dimostrare la propria bravura e la propria capacità di scoprirsi, di mostrare le sfumature più dolorose dell’amore.

Già nelle indicazioni di regia di Cocteau si delinea un’atmosfera da “scena del delitto” (“Il sipario rivela una camera da delitto. Davanti al letto, per terra, è sdraiata una donna con una lunga camicia, come assassinata”) sottolineata dalla freddezza delle luci, dalla prevalenza del bianco nel semplice arredamento della camera, dall’abbigliamento intimo della protagonista, come se quest’ultima si trovasse esposta non solo psicologicamente ma anche fisicamente davanti al pubblico.

Proprio questa lettura, esplicitamente indicata dall’autore letterario del testo, è quella che caratterizza la più famosa delle riscritture cinematografiche del testo teatrale, quella di Roberto Rossellini che nel 1947 lavora al progetto di Cocteau mettendolo in scena con l’attrice straordinaria che aveva scoperto in Roma città aperta, Anna Magnani.

Rossellini, inventore di forme espressive e sperimentatore di soluzioni «inter-mediali», non si lascia spaventare dall’apparente inadeguatezza del testo per il medium cinematografico.

La macchina da presa gli consente piuttosto di rappresentare e amplificare quello stile quasi medico-scientifico della narrazione che già Cocteau aveva suggerito.

La Voix humaine è, come dice Rossellini stesso, l’anatomia di un sentimento: “c’è un individuo afferrato di peso, messo sotto il microscopio; scrutato sino in fondo. C’è lo studio di un viso umano, la penetrazione nelle pieghe riposte di una fisionomia”.

All’epoca dell’uscita de La voce umana (raccolto insieme al mediometraggio Il miracolo nel film in due episodi L’amore, interpretati entrambi da Anna Magnani) la critica non fu generosa con Rossellini e lo punì per aver abbandonato la formula vincente di Roma città aperta e di Paisà.

Ma Rossellini era più interessato a proseguire la propria ricerca artistica che non a inseguire il successo replicando un fortunato cliché.

Il film entusiasmò Cocteau sia per le scelte registiche di Rossellini che per l’interpretazione di Anna Magnani.

Così si esprimeva l’autore de La Voix humaine a proposito della messa in scena italiana: “La Magnani m’a révélé la douleur. Lorsque nous tournions avec Rossellini La Voix humaine, elle était d’une nervosité folle, brisant tout ce qui tombait à sa portée, mais toujours magnifique de sincérité dans son rôle d’amoureuse éxplorée avec ses cheveux fous, ses yeux remplis de larmes et son nez qui coulait toujour. Rossellini, lui est un homme extraordinarie”.

Il film di Rossellini conquista i critici più attenti e meno ideologizzati, come il giovane François Truffaut, prima ammiratore e poi amico intimo sia di Cocteau che di Rossellini: “[…] la Magnani, animal fabuleux. Durant une heur et quart nous la regardons vivre sous nos yeux, seule, isolée du monde; son jeu n’est pas psychologique mais phénomenologique, il depasse de trés loin le strade de la «performance». Il dépasse aussi ce que l’on appelle au théatre: une «presence extraordinaire»”.

Dopo l’esperimento rosselliniano altri registi si sono cimentati in questo «esercizio di stile» che, dopo lo scandalo iniziale, è diventato invece uno dei testi più amati dal pubblico sia teatrale che cinematografico.
In una delle numerose messe in scena varianti che questo testo ha avuto negli anni ritroviamo, anche se indirettamente, l’influenza di Roberto Rossellini.

Estratto da “La Voce Umana: Cocteau, Rossellini, Poulenc
(Fondazione Roberto Rossellini per lo sviluppo del pensiero enciclopedico
in collaborazione con Istituto MetaCultura Fondazione Teatro La Fenice – ERT Emilia Romagna Teatro – 2006)