Con il film 1943: un incontro”  (1969), secondo del ciclo “Tre donne”, il regista Alfredo Giannetti si propone di portare sullo schermo una delle tante donne della guerra, quelle creature umili e sincere, vittime della realtà ma sempre pronte a ribellarsi davanti alle ingiustizie.

Il volto ideale è, come già lo è stato per altri film, quello di Anna Magnani che, nei panni di Jolanda Morigi, infermiera sola e non più giovane, lotta contro le avversità e le cattiverie della vita.

Nella sua quotidiana lotta per la sopravvivenza, Jolanda incontra il tenente Stelvio Parmegiani (interpretato da Enrico Maria Salerno), disertore di guerra, sbandato e solo in una città, Roma, che conosce appena. Jolanda, mossa a tenerezza, lo accoglie in casa, mantenendo riserbo e una timidezza che rasenta la pudicizia.

Le iniziali incomprensioni e timori lasciano lo spazio a sentimenti spontanei di comunanza e affetto: si ritrovano due anime sole e spaventate, ognuna con le proprie paure, in grado di farsi forza e affrontare con dignità l’occupazione nazista della città eterna.

La relativa stabilità lavorativa della donna permette anche a Stelvio un’apparente serenità, interrotta bruscamente dalla realtà di una città occupata. Jolanda si mostra amorevole e comprensiva, vendendo il poco oro che ha per aiutare Stelvio, come fosse la moglie, a reinserirlo nella società civile, per forza di cose confusa, disgregata e ipocrita.

Quando la situazione diviene insostenibile, i due decidono di girare in bicicletta per le campagne romane in cerca di generi alimentari, assistendo impotenti ai continui bombardamenti. Vengono sorpresi dai tedeschi in una cascina insieme ad altri sfollati e Stelvio, cedendo alle provocazioni di un ufficiale tedesco, viene deportato tra la disperazione generale.

Ora i personaggi mutano le loro intenzioni, si passa dalla filosofia dell’arrangiarsi alla volontà di resistere, di combattere, di non arrendersi. Jolanda segue l’uomo cercando di avere informazioni e, nella disperazione, lo ritrova alla Stazione Tiburtina, su un treno di deportati destinato in Germania.

Ma Stelvio ora non ha paura, ora non vuole più soltanto salvare la pelle: vuole essere parte di un desiderio più grande, di un riscatto comune e condiviso con altre migliaia di persone che lottano. Il finale del film è un dignitoso messaggio di speranza, con una Magnani sola che vede allontanarsi il treno, circondata da infiniti bigliettini bianchi destinati alle famiglie dei deportati: il suo impegno, nel dolore di perdere l’uomo che ama, è quello di rassicurare e rassicurarsi in vista del perseguimento di  valori nobili e universali.

Il film rievoca il dramma dell’occupazione nazista della Capitale, soffermandosi sulla quotidianità degli individui spaventati, soli e sbandati. I due protagonisti si compensano dandosi conforto umano attorno alle brutalità delle miserie umane, che non risparmia nessuno. La soccombenza fisica, tuttavia, non si risolve anche in una soccombenza morale: tutti sono ben coscienti di dover reagire.

In un contesto confuso e lontano da qualsiasi umanità e grazia divina, nel quale regna la delazione, la sfiducia generalizzata, la diffidenza, la violenza, Stelvio e Jolanda sono anime ontologicamente libere ma anche ingenue, troppo ingenue per vivere e  oneste, troppo oneste accettare quella realtà.

Giannetti, con la sua attenta regia, conduce naturalmente la Magnani nella sua dimensione più vera e, non a caso, lei stessa considererà questo il preferito dei film recitati per il regista romano. Muovendosi in una dimensione già nota, la Magnani sa proporre una donna di guerra diversa da quelle già interpretate.

La sua maturità artistica le permette di delineare un personaggio di estrema forza morale, in grado di mutare la coscienza di Stelvio e regalando allo spettatore anche momenti di tenui sorrisi.

Da ricordare anche le stupende musiche del maestro Ennio Morricone, che amplificano mirabilmente le emozioni dei personaggi. Il film, destinato al circuito televisivo, fu mandato in onda sul Programma Nazionale il 3 ottobre 1971.

                                                                                                                                                                             di Mariangelica Lo Giudice
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