Capita, nel nostro mestiere, di commettere ogni tanto dei maldestri.

Non parlo di quelli che si concludono con qualche querela, magari con relativa condanna. Parlo di quelli che ci mettono in difficoltà non di fronte a un tribunale, ma di fronte a un amico.

Io ne avevo uno sulla coscienza da parecchio tempo e cioè dal giorno in cui segnalando la presenza di Anna Magnani e Tennessee Williams al Festival di Taormina, avevo scritto che il festival, come del resto tutte le manifestazioni di tal genere, aveva costituito il pretesto di un viaggio di nozze gratuito per molti che vi erano infatti intervenuti in coppia. E siccome Williams si accompagnava con un giovane attore, riconosco che la battuta si prestava all’equivoco, visto che si inseriva in un discorso relativo a coppie, anche se a nessuno risultava che tra Williams, grande amico della Magnani, e il giovane attore esistessero altri vincoli che quelli duna fraterna amicizia.

Le intenzioni malignamente allusive non passarono inosservate e da quel giorno mi attendevo da Anna Magnani una brusca lezione di civiltà.

Così ogni volta che la incontravo mi sentivo piuttosto nervoso e a disagio. Anche quando andai a trovarla alle sei del mattino nella sua casa a palazzo Altieri il giorno in cui vinse l’Oscar, pensavo che mi avrebbe guardato con un sorriso di freddo disprezzo, un po’ dall’alto in basso, e si sarebbe divertita a tenermi in soggezione o magari mi avrebbe fatto una scenata.

Di quell’incontro – era il 24 marzo del 1956 – ricordo tutto; ricordo ogni parola. Disse «Sono felice perchè penso di aver fatto al pubblico del mio Paese il regalo più bello c’era in mio potere di fargli…».

Anna mi ricevette con cordialità, un po’ assorta, non senza malinconia. Era quella l’occasione migliore magari per punzecchiarmi e la consapevolezza di aver torto mi toglieva ogni forza e quasi ogni speranza.

Invece Anna mi trattò con molta grazia impartendomi appunto una bruciante lezione di civiltà. Del tutto eccezionale, trattandosi di una “diva”. Ma la Magnani lo sappiamo tutti, è una diva particolarissima.

Pochi visitatori, paragonati alla turba di ammiratori e di postulanti dei tempi trascorsi, vengono alla sua casa di palazzo Altieri, una sopraelevazione costruita sulla terrazza maggiore dell’edificio principesco.

Prima di ficcare il naso in casa Magnani mi ero preparato gli argomenti per cercare la chiave dell’umore attuale di Anna Magnani, di certi suoi sentimenti e risentimenti; quelli che le attirano insieme tante antipatie e tante simpatie, che le procurano tanti amici e tanti nemici. «Boohh! Non so proprio che cosa potrà raccontare di nuovo su di me», brontola quasi divertita.

Occhi in agguato

Temendo forse una mia scorrettezza, una di quelle scorrettezze che qualche volta rientrano nei doveri professionali del giornalista, gli occhi di Anna, sotto i capelli – come sempre in disordine – si mettono in agguato.

Neri, giovanili e tristi proiettano un’ombra sul volto intenso. «Cosa abbiamo da dirci io e lei? Cosa ha da domandarmi?», chiede con un tono di impazienza. E mi fissa inquisitrice quando le rispondo paciosamente in che rapporti si trova con il cinema italiano.

«Ho capito dove vuole arrivare… Vuol farmi parlar male di qualcuno», dice leggermente aspra come una gatta pronta a graffiare mentre la mano lotta contro i capelli che le ricadono sugli occhi.

Dal lungo e intimo sodalizio coi gatti Anna Magnani ha tratto la loro infidatezza.

Da un’attrice che subito dopo la guerra è stata popolare e stimata e ora si vede messa da parte da dive che ignorano persino l’esistenza dell’accademia d’arte drammatica, se ne potrebbero sentire delle belle.

Invece Anna, deludendo la mia attesa, mi fa un discorso misurato senza astio verso le antagoniste più fortunate. «Debbo ancora vedere grosse interpretazioni… La Cardinale nella Ragazza di Bube è stata molto brava… La Lisi non dovrebbe fare film come Le bambole… E’ un’attrice che ha delle qualità… L’ho vista in teatro… La Vitti per certe cose va bene… Ad esempio nel film di Antonioni…»

E lei, Anna Magnani, perchè non appare sugli schermi? Gli applausi ottenuti con La lupa in teatro sono una riparazione a un’ingiustizia: la condanna all’oblio decretata per lei dal cinema?

«No – risponde – non c’è alcuna incompatibilità tra me e il cinema… Solo che i produttori diventano sempre più ottusi… Salvo tre o quattro registi, Fellini, Antonioni, Germi e Rosi tutti gli altri sono sottoposti a un condizionamento commerciale… Si fanno ormai soltanto film sexy perchè si crede che il pubblico vuole soltanto quelli… Mi vede in un film sexy? …Che ho da spartire io con questo cinema?»

Ripete che per lavorare nel cinema deve essere felice. «Ho bisogno di sentirmi amata… Se sento di non esserlo mi innervosisco, non mi sento libera dentro… Per esempio con Pasolini in Mamma Roma non ci capivamo… Sentivo che lui diffidava… Peccato perchè il copione è un testo da antologia… Per vivere un personaggio devo sentirlo e sentire intorno a me un accordo, un’intimità, senza questa intesa il mestiere dell’attore è avvilente… E’ un mestiere da pazzi… Non amo fare l’attrice, mi piace farlo solo alle condizioni che le ho detto… In teatro è più facile che quest’accordo si realizzi… Nel teatro c’è più invenzione… Un attore crea sempre qualcosa di suo…».

Attrici venerabili

Come potrebbe comparire Anna Magnani nelle sequenze dei film d’oggi? Nessuna donna è più lontana da lei di una Catherine Spaak. Anna è l’antitesi della bambola di carne “nouvelle vague” per cui l’uomo non è un destino ma un caso; gli occhi delle giovani dive d’oggi sono melensi; quelli di Anna rivelano un affanno, quasi un supplizio interiore.

Non crede che il suo personaggio sia irrimediabilmente ancorato a un periodo del cinema italiano, quello che da Roma città aperta va a Bellissima?

«Non è vero – ribatte puntigliosa – la verità della vita è sempre di moda… Del resto i film di Antonioni e di Fellini non sono film realisti? …Otto e mezzo è un film meraviglioso…».

Oggi Anna Magnani apprezza il cinema ma insieme gli nega la possibilità di competere con il teatro. Il cinema è un surrogato della scena. Un surrogato può far diminuire la richiesta d’un prodotto naturale sul mercato, senza recargli danno; se ma, anzi, esso serve a confermare la genuinità della cosa di cui s’offre come surrogato.

«Non sa il piacere che ho provato a dire “no” a  tanti film che mi venivano offerti… Se un giorno accetterò di interpretarne uno che non sia come dico io, l’avrò fatto soltanto per bisogno di guadagnare o di pagare le tasse…».

A parte la differenza fisica tra Anna Magnani e le dive di oggi, esiste anche un forte scarto psicologico. La filosofia di una ragazza d’oggi è estremamente spiccia, il vocabolario psicologico e umano della Magnani è invece più complesso. I registi alle prese con un personaggio “temperamentale” come quello di Anna, si perdono d’animo.

E’ nata così la leggenda che Anna Magnani è intrattabile, “montata”, più autocratica che autocritica, andrebbe a caccia di collaboratori pecorelle da dominare. Si racconta di tecnici che si son dati malati per non servirla, di gente che si squaglierebbe da Roma per rifiutare, di amici che non le fanno visita per non avere a che fare col suo umore capriccioso, con le sue cupe insofferenze e con i suoi scatti furiosi.

«E’ una leggenda inventata – mi dice – una leggenda che mi perseguita… Basti dire che con Castellani quando giravo Nella città l’inferno per due settimane non c’era modo d’intendersi… Lui mi guardava come congelato… Sinchè ci siamo parlati chiaro… Mi disse che gli “altri” l’avevano messo in guardia… “E tu credi a quello che dicono gli altri?” dissi. Da quel giorno tutto è andato bene».

A causa di queste prevenzioni, Anna è sempre costretta a ricominciare da capo poichè si assiste in Italia a un deprimente fenomeno di volubilità. In Francia e negli Stati Uniti la legge per le attrici “venerabili” non è così spietata come da noi. E’ difficile per un’attrice carica di benemerenze resistere nel nostro cinema.

All’estero Anna Magnani è aureolata da un grande prestigio; in Italia si fa del tutto per coprirla d’oblio. La si nomina nel cinema soltanto per ricordare quando la sua grande auto scoperta muoveva per Cinecittà guidata da un autista in livrea; a venti metri seguitava una macchina identica, guidata anch’essa da un autista in livrea; sui cuscini della seconda automobili troneggiava, solitario, il cane lupo.

La sua popolarità viene oggi rinverdita dal La Lupa, dal teatro cui Anna dedicherà tutta se stessa. I suoi programmi comprendono Antonio e Cleopatra di Shakespeare e Madre coraggio di Brecht.
Il cinema perde forse una diva: il teatro ritrova un’attrice.

di M. Liverani
Foto © Copyright ANSA


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