Nel film di Giannetti Correva l’anno di grazia 1870 che rivisita il Risorgimento romano, Anna Magnani dà il volto a Teresa Parenti, una donna del popolo che assieme al marito Augusto (Marcello Mastroianni) sposa e persegue le idee liberali nella Roma papalina.

La storia si svolge nel periodo che precede l’annessione di Roma allo Stato italiano e la conseguente perdita di potere temporale del governo pontificio.

Numerosi prigionieri politici, costretti nelle carceri, a causa degli stenti a cui sono sottoposti rivolgono al Papa la domanda di grazia. Altri, fermi nelle loro idee, rifiutano tenacemente tale gesto che rappresenta il tradimento in concreto dei loro ideali. Tra questi ultimi c’è anche Augusto che, pur gravemente malato, resiste nella sua lotta e si fa portavoce del moto rivoluzionario carcerario.

Nell’attesa di qualche cambiamento positivo, Teresa, ostinata e coraggiosa, si adopera per sé e per il figlio Mario.

Per garantire al figlio una stabilità materiale e strumenti intellettuali che gli consentano di crescere con maggiore consapevolezza, la donna, su consiglio di Don Aldo (Mario Carotenuto), sacerdote bonario e comprensivo, decide di trasferire il bambino in seminario. Tra mille conflitti interiori per quella scelta, Teresa si ritroverà sola ma rassicurata almeno per la condizione del figlio.

Poco prima della liberazione, il patriota Nino Colasanti (Osvaldo Ruggeri) torna clandestinamente a Roma, carico di armi e ancora convinto della riuscita dell’impresa, esortando Teresa a coinvolgere gli altri liberali romani che in maggioranza vigliaccamente rifiutano qualsiasi ulteriore coinvolgimento, dichiarando di aver abbandonato la causa ed essersi adeguati alla nuova condizione storica e sociale.

Finalmente i piemontesi giungono a Roma tra lo scarso entusiasmo della popolazione, ormai disillusa e indolente a qualsiasi riforma. Le carceri vengono aperte e liberati i prigionieri, tra i quali Augusto, che però morirà tra le braccia di Teresa prima di vedere il compimento del suo sogno di libertà.

La pellicola di Giannetti rievoca uno dei periodi storici più significativi dell’Italia unita e porta lo spettatore, con naturalezza, alla riscoperta di valori e ideali che oggi appaiono scontanti ma non per questo meno importanti.

L’annessione di Roma allo stato italiano rappresenta non solamente una conquista politica e giuridica, ma anche e soprattutto culturale per tutte quelle popolazioni che avevano visto nel “Papa re” una garanzia istituzionale ma al tempo stesso una forte limitazione al sorgere di istanze liberali.
Il popolo romano, con tutte le sue peculiarità, finalmente può riconoscersi ed assorbire la nuova idea di Stato: Roma è capitale d’Italia e arricchisce la propria storia millenaria, diventando scenario di battaglie e conquiste.

Anna Magnani, nei panni di Teresa Parenti, si erge a “eroina” popolare, ribattendo alle dicerie di una buona fetta di popolazione disturbata dal futuro e incerto assetto istituzionale e fedele (più per convenienza) allo Stato pontificio.

Teresa è profondamente sola e isolata dal contesto in cui vive, potendo contare solamente su se stessa e sull’assistenza di Don Aldo, prete potremmo dire “atipico”, che nonostante sia rappresentante della Chiesa, si dimostra umano e comprensivo con la famiglia Parenti, proprio perché avulso da ogni contaminazione politica e/o ideologica. Le ristrettezze economiche e i sacrifici che ne conseguono temprano la personalità di Teresa ma la rendono estranea e incomprensibile agli occhi di chi la circonda.

Le pressioni affinché il marito firmi la domanda di grazia al Pontefice e venga quindi scarcerato non tradiscono i valori su cui poggia la sua fede: esse rappresentano piuttosto un bisogno di sostegno morale e materiale del marito, che invece vede il quel gesto una suprema forma di umiliazione e sottomissione.

Ma Teresa è anche una madre, costretta ad essere severa e autorevole, ma visceralmente legata all’unico figlio che necessita di una solida educazione e istruzione: la scelta di mandarlo seminario, malgrado il palese disinteresse della famiglia a qualsiasi religiosità, è funzionale alla formazione del piccolo che infatti col tempo imparerà a riconoscere e rispettare le regole del vivere comune.

Con l’arrivo dei piemontesi a Roma, accolti dai romani con giubilo e disillusione, Teresa vede finalmente compiersi il suo sogno ma non potrà condividerlo con il marito che morirà consapevole che una nuova pagina di Storia è stata scritta.

La scena finale è emblema di opposti sentimenti e stati d’animo: il dolore e l’amarezza per la morte del marito si contrappone alla consapevolezza che la libertà tanto sognata e per la quale tanto si è combattuto è giunta anche alle porte di Roma.

di Mariangelica Lo Giudice
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