Una delle più importanti interpreti del neorealismo cinematografico spiega in questa intervista la ragione per la quale ha abbandonato il cinema. La vedremo sui teleschermi nel ruolo di sei personaggi femminili della storia italiana degli ultimi cento anni

Roma, dicembre

La faccia bianco-profonda di angosciata tranquillità, il naso tagliente, i neri capelli viventi, il lucido sguardo furente, i denti lampeggianti, la voce gorgogliante, l’impeto scontento di una donna che non è mai stata ragazza e non sarà mai vecchia: è come incontrare d’improvviso (alle sette di sera, nella luce placata di un salotto elegante) la propria adolescenza.

Per una intera generazione e forse anche di più, Anna Magnani è l’immagine simbolica, struggente, non cancellabile dell’Italia povera e viva del 1945.

Non il simbolo futile rimasto a caratterizzarne le voghe, il costume e le sciocchezze di un’epoca: come la Marlene degli anni Venti, la Jean Harlow degli anni Trenta o la Marilyn degli anni Cinquanta. Piuttosto una di quelle rarissime immagini con cui il cinema riesce talvolta a sintetizzare ed evocare i momenti storici, le emozioni vere: come la carrozzina che rotola sulle scale del Palazzo d’inverno in L’incrociatore Potiomkin immagine della rivoluzione russa, come il collo grasso e il cranio prepotente di Eric von Stroheim immagine del militarismo tedesco, come i berretti e la bruscheria proletaria di Jean Gabin immagine del Fronte popolare francese.

Ma cosa fa, venticinque anni dopo, un personaggio gravato da tanto nobili significati, da tanto mitiche responsabilità?

Anna Magnani si è arresa: fa la televisione. Il cinema con lei è diventato ingeneroso, o infido.

Non interpreta film italiani da sette anni, da quando Pasolini la scelse come protagonista di Mamma Roma. Ne ha girato uno francese, La pila della Peppa: goffo quanto il suo titolo. Ne ha girato uno americano, un pasticcio bellico-folcloristico intitolato Il segreto di Santa Vittoria: seconda guerra mondiale, paesetto tanto italiano, nazisti in arrivo, ubriacone del villaggio nominato sindaco e incaricato di sottrarre all’invasore il tesoro locale: un milione di bottiglie di vermut. Lei ha la parte comica della moglie dell’ubriacone (ovviamente, Anthony Quinn) e si chiama Rosa Bombolini.

«Prosciutto and melancholy», scrive la critica americana. Decine di altri copioni, tanto cretini o sgangherati da diventare mortificanti, li ha rifiutati.

Alla fine si è arresa, e ha accettato di interpretare una serie televisiva a puntate. «Cent’anni di storia italiana attraverso sei esemplari personaggi femminili», è lo slogan prontamente coniato dall’autore e regista della serie, Alfredo Giannetti, lo stesso che ha inventato e diretto per la televisione l’esacrabile Famiglia Benvenuti.

I personaggi della Magnani ci sono tutti: l’erbivendola romanesca, la moglie dell’emigrante, la sciantosa di mezza tacca, la vedova antifascista per amore, la borsara nera di gran cuore, la logora prostituta motorizzata. Un’antologia commemorativa, una rassegna archeologica alla quale magari lei riuscirà a dare vita, credibilità, vigore.

Ma perchè, dopo tanti anni di sdegnosi rifiuti, si è arresa alla televisione?

Non mi sono arresa. Per carità: a me la televisione fa paura, mette addosso una specie di terrore inspiegabile. Anche l’unica volta in cui accettai di apparire alla televisione qui in Italia… era morto Totò, un artista così immenso, un amico così grande, potevo rifiutare di ricordarlo al suo pubblico? …persino quella volta, sconvolta dal dolore com’ero, dovetti nascondermi dietro gli occhiali neri per vincere lo spavento, l’idiosincrasia, questo complesso che non posso superare. No, non riuscirei mai a recitare alla televisione. Mi sentirei tutta legata, costretta, impedita. Non sarei più io. Sarebbe come scrivere a macchina una lettera d’amore: cioè una cosa per me impossibile, anche maleducata.

Qui mi limito a interpretare sei brevi film, cinquanta minuti circa ognuno. Poi verranno trasmessi alla televisione ma sono sempre cinema, film.

Anna Magnani con gatto

E le piacciono? Ne è contenta?

Sono contenta perchè Giannetti sta scrivendo i personaggi su misura per me, pensando a me: come hanno sempre fatto tutti gli autori cinematografici. Eh, cara, non sono un’attrice comoda, io. Con me non capita che un produttore s’innamori di un soggetto, lo compri, stabilisca di realizzarlo e poi decida: ci mettiamo la Magnani.

Eh, no. Io non ho una di quelle faccette aggraziate che non dicono niente e alle quali quindi si può far dire qualunque cosa. Non sono una bamboletta, che dove la metti sta. A me i personaggi bisogna tagliarli addosso. Prima viene la Magnani, poi il personaggio: scelto o creato in modo che sia adatto alla Magnani.

Tutti hanno sempre fatto così: Pasolini, Tennessee Williams, Visconti, Rossellini. Certo, Verga non ha scritto La lupa perchè io potessi un giorno interpretarne la riduzione teatrale: ma è come se lo avesse fatto, tanto il personaggio mi è congeniale.

Sono viziata, cara, lo so. Mi fanno ridere quando dicono: «Il cinema ha abbandonato la Magnani».

Non è vero?

E’ vero il contrario: sono io che ho abbandonato il cinema.

Perchè?

Perchè il cinema è povero, miserabile, pitocco. Perchè continua a offrirmi personaggi che non sono creature umane ma caricature, pupazzi imbecilli. E io la scema non la recito, cara.

Però molti anni fa ha interpretato anche film leggeri, comici: Teresa Venerdì, per esempio, o Abbasso la ricchezza, o L’onorevole Angelina

E allora? Erano personaggi deliziosi, autentici, scritti per me. Comici, e con ciò? Non ho mica detto che intendo fare soltanto la grande tragica. Per carità. Ma voglio personaggi nei quali poter credere, a cui il pubblico possa credere. Personaggi ben costruiti, senza squilibri di artifici e fasullaggini. Personaggi veri.

NON RECITO SCEMENZE

Cosa vuol dire per lei personaggi veri?

Vuol dire personaggi presi dalla vita: nella vita troppo ce ne sono, di personaggi cui ispirarsi. Personaggi nelle cui emozioni e avventure la gente possa riconoscersi, ritrovarsi: e a cui io possa dedicarmi con sincerità, con slancio, con amore.

Io non sono una mestierante, cara. Se uno mi dice: sei una vera professionista, io mi considero insultata. Fare l’attrice per mestiere è un’idea che non concepisco: che avvilimento, che squallore. Verso il lavoro non provo distacco nè logoramento, nessuna noia derivante dall’abitudine. Niente routine, niente faciloneria, niente compromessi, niente «ma lascia perdere, ma che ti frega, tira via, vada come vada». No cara, mai.

Su un personaggio giusto io mi eccito, mi appassiono. Lo scopro a poco a poco, lo creo nel mio cervello prima ancora che davanti alla macchina da presa, me ne impadronisco. Sempre, e senza stanchezze: da più di venticinque anni.

Ma un personaggio che non amo non posso interpretarlo. Non ce la faccio. Tutta me stessa si rifiuta.

Quando dovetti interpretare (per forza, una faccenda di contratti firmati) quella benedetta Pila della Peppa, piangevo quasi tutti i giorni: e da Parigi tornai con un esaurimento nervoso atroce. Piuttosto che recitare scemenze, preferisco rinunciare al cinema.

Non è doloroso restare tanto tempo senza lavorare?

Non me ne frega assolutamente niente. Lo dico sul serio, e lei deve credermi: io non sono una donna insincera che racconta balle, storie artificiose, bugie inventate o costruite. Non me ne importa. Perchè dovrei lavorare, a che scopo? Sono una donna equilibrata, io: di avere la Rolls non me ne frega niente, il Ferrari l’ho avuto e l’ho venduto senza rimpianti; l’autista-cameriere che serva a tavola in guanti bianchi non mi serve, mi bastano una cameriera e una segretaria; non butto soldi nel lusso; non spendo milioni per seguire la moda, metto addosso quel che mi sta bene. Quindi il pane non mi manca: e allora perchè dovrei lavorare? Per fare più soldi e inguaiarmi sempre peggio con le tasse?

Un’attrice non lavora solo per guadagnare.

Ma io la nevrosi del lavoro non ce l’ho, cara. Io sono una all’antica, io non ho bisogno di occupare continuamente il mio tempo come fanno tanti: perchè hanno paura di pensare o di restare solo con se stessi, perchè nella vita non hanno altro e se gli si rompe il ritmo del lavoro crollano come stracci bagnati.

Sto tanto bene senza lavorare, io. Mi diverto con le persone che amo, mi occupo dei miei affari, dormo quelle nove-dieci ore per notte che mi sono assolutamente necessarie, leggo, guardo la televisione, sto con tutti i miei animali, passeggio nel giardino della villa al mare che è la mia vera casa e che mi piace moltissimo.

Non ho certo bisogno del lavoro come antidoto al veleno della noia: perchè dovrei lavorare, allora?

Magari per mantenere il contatto con il pubblico…

Cioè per farmi vedere, per vanità? Sono ambiziosissima, certo. Voglio avere successo, voglio che la gente mi ammiri: a chi non piace essere amato, apprezzato, stimato? Ma vanitosa non sono.

Lavorare per stare alla ribalta, per esserci? Io ci voglio essere, ma bene: se no è inutile che ci stia. Niente al mondo mi compenserebbe… Senta, io ho fatto Roma città aperta, se ne ricorda? Ho fatto Amore, ho fatto Bellissima, ho fatto La rosa tatuata, ho fatto Mamma Roma… Sono tutte cose che assolutamente non voglio compromettere. Non voglio rovinare una vita di lavoro che è stata tanto bella, tanto importante. Non voglio sputtanare il mio nome.

Ci tengo al rispetto, all’amore che il pubblico ha per me, all’immagine che io rappresento per la gente. E dovrei insudiciare tutto soltanto per la smania cretina di restare in ballo? Se restare in ballo vuol dire interpretare personaggi indegni di me, allora senta, cara: la Magnani non balla più.

Anna Magnani si arrende alla TVI REGISTI VOGLIONO ESSERE DIVI

Secondo lei, perchè il cinema italiano le offre ruoli indegni, o non le offre nulla?

E lei perchè mi fa queste domande? Non lo vede, a cosa è ridotto il cinema italiano? Western che si ripetono identici uno all’altro, monotoni e stupidi quanto la pioggia. Film sexy volgari, repertori sordidi di posizioni erotiche, cataloghi squallidetti di amori tra uomini, tra donne, tra collettività: neanche coshon, il film cochon almeno è divertente. Io non ho nessuna obiezione moralistica, per carità. Davanti a un film come Il silenzio di Bergman mi alzo in piedi con rispetto: ma il sesso commercializzato, proprio mi disturba. Poi che altro c’è? Commediole da boulevard, farse scombiccherate, trovatine da quattro soldi. Tutto qui, il cinema italiano.

Chi detta legge, comanda e decide non sono neppure i produttori ma i noleggiatori, i proprietari di cinematografi che disprezzano il pubblico mentre il pubblico è un mostro intelligentissimo che giudica sempre giusto. Antonioni se ha voluto lavorare è dovuto andarsene all’estero. Rossellini pure. Rosi è restato quasi tre anni senza lavorare. Per forza: è un regista che ha qualcosa da dire, e non gliela lasciano dire. Lasci perdere: il cinema italiano è proprio in una brutta situazione. Con la roba che produce, io non c’entro niente, non voglio entrarci niente.

Nessun regista, nessuna opera si salva, secondo lei?

Satyricon è interessante, malgrado non rappresenti il Fellini che io amo: ma perchè, invece di dedicarsi alle fantasie lussuose, non torna ai film realistici e veri come Lo sceicco bianco, come I vitelloni, come lo straordinario Otto e mezzo? La caduta degli dei di Visconti è un bel film. Il posto di Olmi era bellissimo, e anche I pugni in tasca di Bellocchio.

Peccato che neppure questi autori le offrano…

Cara, io per i registi autori sono scomodissima. Io non sono un’attrice che sta lì come un oggetto, che si lascia spostare come un bicchiere, che si fa adoperare come un burattino o un robot. Io non sono un’attrice cui si può dire soltanto: «Guarda a destra, muovi il braccio, corri via, storci il naso». Io voglio essere cosciente di quello che faccio, voglio contribuire al mio personaggio. Ho qualcosa da dire, io. Ma i registi si son messi su un piedistallo, i divi vogliono essere loro. Che bravi. «Sono l’autore», proclamano. E gli attori dovrebbero essere cosa? Le parole, i periodi, i punti e virgola del loro romanzo? Be’, alla Magnani non interessa fare il punto e virgola.

Dico: se un attore ha dato delle prove di valore avrà qualcosa da dire, no? Vorrai ascoltarlo, no? Visconti sapeva benissimo di non potermi imbrigliare, costringere. Con Rossellini lavorare era meraviglioso, parlavamo lo stesso linguaggio… Vuol sapere qual è in fondo la verità, cara?

Si.

La verità è che io funziono solo recitando personaggi realistici, veri, umani. Che io posso fare qualcosa nel cinema solo con i film realistici. E che per molti anni il cinema realistico è andato a farsi benedire, è passato di moda.

Per molti anni o per sempre?

Ah, no, non per sempre. Il realismo non si può mettere da parte: si possono cercare altre strade, tentare esperimenti diversi, addormentarlo per vent’anni. Ma a un certo punto torna fuori, non c’è niente da fare. Ormai il pubblico si è stufato di fregnacce: nel cinema come in tante altre cose.

La gente si sveglia, si guarda intorno, e quel che vede non gli piace. Io di politica non mi interesso, perchè penso che un attore debba mettere la propria arte a l servizio di tutti. Però dal lato umano, come persona, mi interesso a tante cose. Trovo inconcepibile che la gente viva nelle baracche mentre ci sono soldi stagnanti con cui non vengono costruite le case.

SONO STUFA DI MALDICENZE

La gente ha ragione di chiedere, di pretendere una vita decorosa per tutti. Ha ragione di pensare che tutto è lento, che le strutture sono vecchie, che bisogna cambiare.

Trent’anni fa in Italia al cinema si vedevano solo segretarie private, Scipioni africani, cornuti e telefoni bianchi: per portare sullo schermo l’Italia vera, quei poveri e quei disoccupati e quelle popolane che costituivano la più grande parte della cittadinanza, c’è voluta una catastrofe come la seconda guerra mondiale.

Per fortuna oggi può bastare molto meno. Io di politica non mi occupo e non capisco nulla, ma mi sembra che ci sia oggi un’atmosfera nuova: e che questa atmosfera possa avere molta influenza sul cinema, riportarlo a rispecchiare la realtà del nostro paese.

Nel frattempo è comprensibile che lei…

No. So già quello che vuol dire: nel frattempo lei si sente messa in un canto, amareggiata, inasprita, infelice. No, cara. L’unica cosa che mi inasprisce è leggere bugie e indecenze sul mio conto. Ci tengo alla mia onorabilità, non mi piace essere insultata, sono stufa di sopportare maldicenze sulla mia vita privata. Io faccio i fatti miei, non ostento nulla e nessuno, non do scandalo, non compilo memoriali, non mi esibisco: quindi se qualcuno si azzarda a scrivere una mezza parola in più, do querela. Sono nel mio diritto, direi: la cattiveria gratuita è la volgarità più ignobile che un essere umano possa avere dentro di sè. Per il resto, non sono affatto amareggiata nè infelice.

Lo so, mi descrivono come una lupa solitaria che vaga per i corridoi di una casa sempre più silenziosa, sempre più vuota, sempre più spettrale: «La Magnani si è isolata, la Magnani odia la gente, la Magnani non vuol più vedere nessuno». Da dove gli risulta questo fatto, mi domando. Dove le prenderanno, queste notizie.

PREFERISCO STAR SOLA

Non sono vere?

Proprio no, cara. Esco di rado perchè amo la casa, mi piace moltissimo starci. Sto per conto mio, ma è sempre avvenuto così: è la mia natura, anche da ragazzina ho sempre vissuto chiusa in un mio mondo.

Anna Magnani intervista TV

Non vedo la gente di cinema, è vero. Secondo lei ne varrebbe la pena? A parte molte fortunate eccezioni, gli attori non sono mica una razza interessante da frequentare. Stanno tutti insieme per paura, per sorvegliarsi l’un con l’altro. Sono tutti uguali. Non si occupano di niente altro che di loro stessi, parlano sempre della stessa cosa: il lavoro. Vivono facendo a gomitate, lottando per emergere più degli altri… Tutte cose che non mi divertono.

Preferisco stare sola, ma la mia solitudine non ha nulla di stregonesco o di disperato. Direi anzi che la vivo con molta ricchezza, con serenità, con sicurezza. Mi creda, ho troppo orgoglio, troppo rispetto di me e troppa dignità per essere la donna che descrivono ossessionata dalla giovinezza che se ne va…

Non è vero?

La giovinezza, intanto, se ne è bella che andata. La vecchiaia non mi fa paura, finchè sarò vitale e non sarò malata, o di peso agli altri, o un ingombro.

L’idea di invecchiare mi fa soffrire soltanto perchè vuol dire un preludio alla morte, e dover morire non mi piace. La morte mi mette spavento. Parliamo d’altro, per carità.

Dell’avvenire?

Eh, l’avvenire, cara. L’avvenire è sempre così ricco, così inatteso. Ha visto? Adesso la Camera ha approvato il divorzio. Così magari, dopo ventisei anni di separazione e dopo esser stata una delle pochissime donne in Italia a dover pagare gli alimenti al proprio marito, riuscirò finalmente a tornare signorina. Non è divertente?

E cosa fa una volta tornata signorina? Si risposa?

Noooooooooooooooooooo.

L. Tornabuoni
Foto © A. Di Tullio
(dalle Biblioteche Riunite “Civica Ursino-Recupero”)