Attentissima a sé stessa, si guarda e si ascolta, gelosa, nella misura di una virtù istintiva che non è mestiere. Accesa nell’arte sua in una fiamma di verità. Se le metti una mano sulla fronte al momento che sta recitando, ti bruci le dita.

Taluni ignorantelli dell’umorismo si compiacciono di giudicarla schiava di un dialetto, del nostro asciutto romanesco, vivo e stagliato nel timbro di una musicalità cruda. Attrice popolaresca e non attrice di lingua pura. Ma che significa questa gratuita distinzione!

È la medesima stupidissima fisima che avvilì nei primi tempi della sua carriera l’insuperabile arte di Petrolini. Non è la parola o il suono della parola che stabiliscono l’eterna realtà ideale dell’arte. E proprio in quelli che sono i termini crudi di talune sue squisite interpretazioni, io riconosco una leggiadra eleganza di creazione.

Attrice finissima, che va in fondo alla verità del personaggio e questa scavata verità la porta al lume della ribalta, come a quella dell’obbiettivo, con una virtù fresca, innocente, diretta, che ti colpisce e ti persuade, sempre.

Il suo stile nasce dall’istinto. Con una prepotenza passionale lirica che supera i compromessi, essa non serve il personaggio, ma lo diventa. Il segreto è qui.

Al personaggio dà tutto il cuore. Senza risparmio. Con una prodigalità innocente, oso dire selvaggia. Taluni colori, sapori e aspetti della vita romana, della vita insomma, di una caratteristica vita che ha in sé, al di sopra di ogni rettifica, un valore di bellezza e di consistenza universali, Anna Magnani li ha tradotti in una potenza di espressione attraverso la quale ciò che era cronaca è diventata poesia.

Anna non è attrice da parti timide, perché la vena della sua arte è amara, fiorisce alla cima di una realtà che sa di miseria e dolore. Il riso nasce dal taglio della satira come di un coltello. E la prima a ferirsi, maneggiando l’arma, è lei.

La sola grande attrice del nostro denutrito schermo. Tra lei e le altre, più o meno zelanti e graziose e leziosamente porcellanate dal trucco fotografico, è una aperta distanza, la stessa che può separare uno scrittore di fatterelli mondani da un poeta di alta e pura fantasia.

Lasciamola vivere in pace, perché Anna adesso comincia ad aver paura di sé stessa. Taluni inutili appunti diretti a quelli che sono i suoi più originali slanci d’arte, le hanno messo addosso il timore che nel realismo di talune espressioni puramente e nobilmente dialettali, essa si abbassi ad un genere di secondo ordine.

Bisogna che Anna guarisca di questa incertezza. Non ci deve tradire. Deve ad ogni costo rimanere sé stessa. Così come è rimasto sé stesso, fino alla fine, Petrolini, non attore di dialetto, ma soltanto attore. Grande artista a Roma come a Parigi, quando alla Comédie interpretava Molière in lingua di Trastevere.

È in lei una versatilità genuina, una ispirazione non conquistata agli esami agli esempi dei paragoni. Somiglia soltanto a sé stessa. A conoscerla, da vicino, ti appare in un continuo ed affannato smarrimento.

Potremmo dire con Pirandello che la quiete e la serenità scendono in lei soltanto al momento in cui si incontra col personaggio da far vivere. E in sé stessa, e fuori di sé stessa, lo cerca, l’interroga, lo segue, ombra e realtà, e nella febbre che l’illumina, quando è fuori dal cerchio della finzione, il suo volto è sempre in una continua interrogazione di sguardi e di accenti.

Prezioso valore dell’arte nostra, Anna Magnani, oggi, sopratutto sullo schermo, abbisogna di essere seguita con affettuosa curiosità.

Occorrono personaggi armati di umanità e di coraggio morale da affidarle. Lasciarla cioè nell’attualità di un realismo amaro che possa diventare ideale, e non per l’aiuto della retorica ma per la potenza di una ispirazione diretta.

Nella vita vera, la riconosco timidissima. E mi incanta la sua artificiale prepotenza, ch’essa alza a difesa di un sentimentalismo pieno di onesta bontà femminile.

I suoi occhi sono tra i più belli più dolcemente profondi ch’io abbia mai visto. (Non è detto ch’io non sia un po’ innamorato di Anna: ma non glielo dite per carità). La sola nostra giovane attrice che sullo schermo e sul teatro mi abbia fatto piangere e ridere di cuore.

Lasciamola vivere come è: cerchiamo almeno noi, che ci vantiamo di essere critici, di non confondere la volgarità dell’oro grezzo con l’autentica volgarità dell’educazione fasulla e gesuitica.
Il premio Lido, doveva toccare a lei.

di F. Sarazani
(1946)


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