Ci narrò la storia di una città oppressa dal terrore –  Gli occhi sprezzanti e disperati della Magnani, donna che sa patire – Porta dentro tante creature, ma ha bisogno di incontrarle, nella vita; i suoi personaggi devono essere autentici e veri – Cosi, mirabile attrice, ci ha dato alcune delle immagini più sincere della nostra esistenza, del nostro dolore – E’ complessa, guardinga, diffidente e istintiva – Il figlio le domandò un giorno: «Mamma, ma perché fai sempre finta di essere un’altra persona?» – Forse è il suo modo di difendersi dai sentimenti e dal destino

Roma, febbraio

Dice Zavattini: «Vorrei tornare a Luzzara.. C’è la nebbia del Po, e d’estate si affoga nel caldo, ma ho nostalgia del mio paese. Mi bastano, per vivere, due uova fritte, un piatto di salame e una bottiglia di lambrusco. Potrei scrivere un soggetto ogni anno, uno solo, ma rispettare le mie idee. Dal tempo di Ladri di biciclette molte cose sono cambiate».

Umberto Maggiorani, il protagonista del film, è tornato a fare il calzolaio: lavora in una botteguccia, e ha sofferto per ritrovare l’equilibrio, la serenità della piccola gente anonima.

Vittorio De Sica non dispone di sufficienti capitali per girare Il diluvio universale; i produttori si ostinano a offrirgli divise di maresciallo dei carabinieri, e parti di arguto parroco di campagna.

Rossellini vorrebbe portare sullo schermo un personaggio della Resistenza: è alla ricerca di quelle immagini che, con Roma città aperta, commossero il mondo, e della smarrita ispirazione.

Maria Michi, la ragazza di Paisà, che aveva lasciato il cinema per diventare principessa, ha dovuto abbandonare anche il marito: di lei si sono occupate di recente le cronache giudiziarie, una malinconica disputa con un poliziotto l’ha condotta in Tribunale.

Anna Magnani fra un mese tornerà in America. Con Marlon Brando interpreterà Orpheus Descending, una trama che Tennessee Williams ha scritto per lei.

«Sono terribilmente stanca – dice – sono distrutta dalla fatica, e dai casi della mia vita».

E’ a letto febbricitante. Le coperte sono invase da fogli di giornali segnati di rosso: le recensioni del suo ultimo film; i critici dicono che è stata «grande», «grandissima», è come se la riscoprissero.

Guardo questo volto pallido, segnato, questo volto di donna sofferente: nel 1945 quegli occhi severi raccontarono il dramma di una grande città nel terrore dell’occupazione nazista, e annunciarono la scoperta del neorealismo.

«Non so nemmeno se sono un’attrice, una grande attrice, o una grande artista, – dice con indifferenza, riordinando le pagine – non so nemmeno se sono capace di recitare. Ho dentro di me tante figure, tante donne, duemila donne. Ho solo bisogno di incontrarle. Debbono essere vere, ecco tutto. Io voglio dei personaggi autentici. Tennessee Williams lo sa. Anche le sue esperienze sono state molto dure, e mi capisce».

Anna Magnani, Enzo Biagi

Anna Magnani timbra una creatura semplice, dominata dalla natura, senza complicazioni, e invece, è lei stessa che lo ammette, è terribilmente complessa.

Un giornalista americano l’ha definita «la tigre» e l’ha giudicata aggressiva, di variabile umore, capricciosa, intollerante.

«E se vuole scrivere un articolo originale, dica finalmente che io sono tranquilla – ribatte – e che non litigo con i registi che rispetto: lo domandi a Renoir o a Visconti, che non è poi di carattere dolce. Io non chiedo di meglio che di starmene buona».

Sa, di certo, quello che vuole, e si batte: «E’ la Magnani che comanda Hollywood», scrisse un cronista quando andò a girare La rosa tatuata.

Ha dovuto conquistare il suo posto. Lo stesso marito, Goffredo Alessandrini, le riconosceva scarso talento; molti la consideravano limitata a un rango di grande generica, le attribuivano risorse dialettali.

Riferisce un biografo che una volta Anna Magnani si offrì come interprete a De Sica: «E’ un vero peccato, Vittorio, – disse – che io e te non si faccia qualcosa assieme. Io sento quello che vuoi». «Sono io, – rispose De Sica – che non sento il romanesco». Anna Magnani ne fu addolorata.

Sul caminetto del suo salotto, tra tappi di spumante che ricordano forse qualche ora lieta, c’è la statuetta dorata dell’Oscar; quando gliela consegnarono, il suo nome fu posto accanto a quello della Duse.

Il suo temperamento, le vicende della sua esistenza, l’hanno resa guardinga, chiusa, magari diffidente. Luca, il figlio, le ha detto un giorno: «Mamma, ma perché fai sempre finta di essere un’altra persona?». Forse è un modo di difendersi. «E io, – ha detto a una amica – sono fatta così. Tutta istinto».

Le sue interpretazioni sembrano confermarlo. Le donne che porta sullo schermo non sono il risultato di una recitazione, ma vivono. Però la donna Anna Magnani, che è sola, che deve provvedere a se stessa e a un ragazzo malato, che teme la gente e il frastuono, ascolta anche i suggerimenti della ragione.

Deve essere madre e donna d’affari, deve amministrare una casa e una vita difficile. Si controlla.

Quando Rossellini incontrò Ingrid Bergman, l’inviato di un grande settimanale francese scrisse che «il dolore di Anna fu degno di Sofocle, la sua gelosia di Racine». In realtà i sentimenti di Anna Magnani non offrirono agli occhi del prossimo nessun suggerimento per qualche confronto letterario o per qualche lettura scandalistica.

Ai giornalisti che la assediavano, diede risposte misurate e tristi: «E’ più importante l’arte o l’amore?», le chiedevano. E Anna: «Una cosa non esclude l’altra». «Ma l’amore, – insistevano, crudeli – non vale forse di più?». E Anna, arrendendosi: «E’ proprio l’unica cosa che conta». Poi, d’istinto, prendeva il sopravvento e scattava: «La vita è già difficile a viversi, e voi giornalisti non fate che peggiorare le cose».

Le hanno offerto di scrivere le sue memorie ma non ne vuol sapere.
Dagli Stati Uniti doveva arrivare a Roma uno specialista, lo scrittore che ha raccontato le movimentate avventure di Ethel Barrymore, ma Anna ha ancora rifiutato: «Le scriverò io, quando potrò, quando ne avrò voglia. Non mi piacciono gli attori che mettono la firma a pagine scritte da altri. Una volta ho cominciato, sette od otto cartelle, ma chissà dove sono finite».

Narrerà la sua storia, forse, quando rinuncerà all’attività artistica, quando le sue vicende non susciteranno più polemiche, accuse o rimpianti, «Al momento giusto mi ritirerò, – ha detto una volta – credo sia uno spettacolo malinconico vedere una artista invecchiata che si ostina a calcare le scene».

Tante volte ha promesso a Luca: «Ci ritireremo in campagna, io e te soli, con tanti animali, e saremo felici». Ma ha sempre tanti progetti. Una pellicola comica, per quando tornerà da Hollywood, e anche il teatro, e magari la rivista: «Mi divertivo tanto, quand’ero in compagnia con Totò, e anche il pubblico si divertiva».

Anna Magnani

Lei sa che per fare l’attrice bisogna rinunciare a se stesse, e isolarsi, e anche soffrire. Ma questo è il suo mestiere, che le ha procurato tante amarezze, e anche tante soddisfazioni.

Corrado Alvaro scrisse che Anna Magnani «ci ha dato un ritratto esemplare di donna italiana» e «il senso della vita intima del nostro Paese»: in quegli occhi severi, e di volta in volta ironici, sprezzanti o disperati, si sono riflesse le immagini più sincere della nostra esistenza, delle cose che furono e delle molte che, come dice Zavattini, sono cambiate.

«Eppure, vorrei non avere niente, – disse Anna Magnani alla giornalista Egle Monti – vorrei non aver fatto niente, vorrei ricominciare tutto da capo purché mio figlio avesse le gambe». La paralisi infantile ha avvilito i sogni di questa donna sola e infelice.

Nella sua biblioteca ho notato un libro: “Il dizionario domestico”, ma in quelle pagine Anna Magnani non ha trovato le parole capaci di aiutarla a scoprire il segreto. Un’intensa, severa espressione di Anna Magnani della sola gioia che le sarebbe stata cara: la gioia che tocca alle donne semplici, a quelle donne che lei ha tante volte rappresentate sullo schermo, cariche di figli e di sporte, pronte all’urlo e all’abbraccio, liete di essere vive, di vivere giornate comuni, donne il cui nome ricorre soltanto nei discorsi dei bambini e dei mariti.

«Che fatica è vivere», disse con un sorriso, in un momento di silenzio, e guardò, fuori dalla finestra, il freddo cielo di Roma invernale.

E. Biagi