Anna Magnani, a Vulcano, fotografata sulla terrazza della sua villa. E’ scesa la sera, dopo una giornata di lavoro estenuante sotto la canicola; Anna sta finendo di mangiare: è al “dessert”, un’insalata di arance. La vita, nell’isola, non offre molte comodità e distrazioni ai componenti della troupe; non c’è acqua sorgiva, non c’è luce elettrica: si adoperano lumi a petrolio come quelli che i soldati in guerra usano nei ricoveri e sotto le tende. Il direttore di produzione, Besozzi, ha organizzato l’accampamento degli artisti in modo esemplare; vi spira aria di lavoro serio, ognuno sta al suo posto, rispetta l’orario e gli ordini. Al sabato sera si balla.

Vulcano, giugno

Anna Magnani abita la villetta di un italiano che fece fortuna in Australia ed investì i suoi risparmi nell’isola nativa.

Vi giungemmo di sera, lungo un sentiero tortuoso, incespicando spesso, protestando col principe Alliata che tentava di risparmiare le pile della sua lampadina tascabile; la luna scorse più tardi.

Anna Magnani era a pranzo con un signore sulla quarantina molto abbronzato, sportivo, dagli occhi neri e il naso lungo, un volto noto, credo; ci eravamo certo incontrati, prima, nell’atrio di qualche albergo romano.

La Magnani mangiava un’insalata di pomodori e lattuga; era stanchissima, dopo una giornata di lavoro sotto la canicola.

Indossava, a tavola, un cappotto di feltro seppia, pesante.

Alla luce vivida, cruda di un “petromax” il suo volto ci apparve perentoriamente vivo, tragico anche se disteso: “Sono io, Anna”; un volto che ti potrebbe in due secondi esprimere amarezza, dolore o disperazione, e coraggio; proprio uno di quei volti che non si dimenticano più.

Senza trucco, era; sola con la sua visibile stanchezza, una stanchezza greve, che le faceva male; i suoi occhi chiedevano solidarietà. “Se ne andrà a letto”, pensammo. E invece uscì in terrazza, la sera era calda e odorosa di erbe e fiori. Era un poco spettinata, il viso lavato all’acqua e sapone.

Non importano i trucchi, su Anna: nemmeno quelli di bellezza; è pane pane, vino vino. Ma un pane con tutte le spezie della terra, dal pepe nero da tavola a quello rosso di Caienna, un vino che nel medesimo bicchiere sa di vecchio stagionato e di mosti in fermento.

Non diede, posando, nemmeno un colpo di pettine ai suoi capelli, non si aggiustò il bavero del cappotto.

“Quando lei entra nel quadro si sente che deve succedere qualcosa”, disse di Anna, recentemente a Milano, Luisa Rainer, l’interprete di Buona Terra.

Ed aggiunse: “La personalità femminile più potente del cinematografo”.

Gli italiani rimangono sorpresi a coteste affermazioni, li hanno in casa i grandi artisti, e non vi badano.

Di Rossellini l’inviato di Life, John Philips, ha detto l’altra sera a Roma: “Il più grande regista del mondo”, e della sua alleanza con Ingrid Bergman, chi dei due fa da trampolino all’altro, perchè salti più alto, disse: “Lui”.

Giungeva da Washington, e raccontava delle file del pubblico sotto la pioggia, anche d’inverno tra la neve, per Paisà che tenne il cartellone 53 settimane.

“Grazie”, dice Anna quando le racconto la battuta della Rainer; stringe un poco la mascella. E’ ringiovanita, si è affilata, una certa piega amara della sua bocca troppo nuda (tutto il volto di Anna Magnani è nudo, troppo nudo), quella piega intima è una dichiarazione di coraggio, un’affermazione di solitudine, più che una richiesta di solidarietà, come a tutta prima sembrerebbe.

“Quel che ho avuto l’ho pagato, e pago”, dice il coraggio di Anna: “A prezzo giusto; la vita non mi fa sconti né m’offre occasioni; pago in contanti”.

Non è una vita a credito, la sua, vi sono cambiali protestate e fallimenti, e gioielli venduti per pagare, e paga fino all’ultimo soldo; poi ricomincia. E’ il peso di questa sua vicenda che porta sulla scena, è per questo che quando arriva lei sullo schermo “sta per succedere qualcosa”.

Il giorno dopo, verso mezzogiorno, sotto la canicola infocata della cava di pomice, tra riflessi accecanti e soffi di pulviscolo che si insinuavano tra le palpebre, in gola, un’aria secca e pericolosa, all’ombra di un carrello, accanto a Geraldine Brooks, Anna provava.Anna Magnani a Cava Pomice

Il regista Dieterle aveva lavorato, per preparare quella scena, che durerà, nel film, un paio di minuti, oltre un’ora.

E’ un uomo dal volto leale, e autoritario. Nessun collaboratore gli dà del tu, o lo chiama per nome. E’ “Mister Dieterle”, per tutti, Anna compresa.

Dieterle ha per Anna un rispetto evidente: quando parla con la Magnani la voce del regista scende di tono, pur rimanendo ferma; vi è un tentativo di persuasione, vuole persuadere Anna su di un particolare. Anna lo guarda intensamente, capisce prima ancora che Renzo Avanzo faccia la traduzione.

Dieterle usa i guanti crema scamosciati quando dirige; un senso di parata, di uniforme: è tedesco. Parla l’inglese da tedesco. Anche l’antinuca di cotone che gli cala dal berretto ricorda un’uniforme, il berretto africano degli “spahis”.

Fa ripetere la scena due, tre, quattro, cinque, sei, sette volte. Vi è sempre un particolare che non va.

La brocca non è stata bagnata all’esterno, Il bambino finge di masticare invece di mangiare sul serio a bocconi grossi, di chi ha fame. Poi qualcuno ha parlato. O gli occhi hanno cambiato posizione senza che il tecnico se ne accorgesse.

All’ultimo momento mancano sei sfilatini di pane. Dieterle deve pensare a tutto, i suoi ordini scoppiettano precisi come pistolettate, è il suo modo di dire le cose, con un segno di nervosismo.

Anna non può ripetere la frase del copione con i punti e le virgole, vuole sapere il senso della sua parte, entra nella parte, dice le parole che le nascono, più o meno quelle del copione, ma l’accento è giusto, l’atteggiamento del volto nitido; e recitando, o meglio, vivendosi la sua parte, che lei ogni volta se la vive fino a rabbrividirci, o a piangerci, se la scena è da piangere, e a ridere sul serio, se si tratta di ridere.

Ha avuto, un paio di volte, toni di voce così torbidi, desolati, che arrivavano all’occasionale ascoltatore come una fitta.

La storia è tagliata su misura per lei. Nel viaggio di andata alla cava sul motopeschereccio del comandante Speranza, il viceregista Renzo Avanzo mi raccontava la trama: “Gli emigranti tornano alle Eolie per sposarsi, lei partì sposata, vi tornò vent’anni dopo mala femmina rimpatriata col foglio di via, trovò una sorella ventenne e un fratello undicenne; insieme lavorano nella cava di pomice, poi giunge nell’isola un palombaro, lei avverte che è un poco di buono, e per stornare la sorella da lui prima gli si offre, poi lo uccide, facendogli mancare l’aria mentre sta sott’acqua. Infine si butta nel vulcano”.

Anna Magnani aveva udito con ciglia aggrottate quel racconto scheletrico.

Anna Magnani mare Vulcano“Non gli hai detto niente”, protestò. “Ascoltami”, mi disse, prendendomi pel braccio: “E’ stanca di fare la prostituta, quando torna, e vorrebbe costruirsi una vita, lavorando alla cava, proteggendo la sorella, il fratello. Tutti le voltano le spalle. Una mattina v a messa, e le donne del paese fanno catena, le impediscono di avvicinarsi all’altare. La sorella le si rivolta contro, quando lei, per disincantarla, va col palombaro; la sorellina sa che specie di femmina sia, e glielo dice. E tuttavia la sua esperienza d’uomini le fa sentire nel palombaro uno sfruttatore o peggio; vuole almeno salvare la sorella, e lo uccide, e se ne tornerebbe a far la vita, se potesse, ma non ce la fa più, dopo quel bagno di salute. Si butta dentro il cratere dove non le rinfacceranno fogli di via”.

Si sta al fresco, sotto il tendone del motopeschereccio di capitan Speranza; l’isola si avvicina, ed Anna racconta episodi, concreti, decisivi, dell’intreccio. Sulla sua faccia pallida oliva passano ombre e luci, un attimo sorriso, un attimo disperazione.

Dieterle ha tutta l’aria di aver coperto una miniera. In verità cotesta alta interprete si porta dentro una donna piena di ingombri, di drammi personali, di segrete insoddisfazioni.


«Chi è lei?», chiese Di Napoli, della Panaria Film, (in piedi, coi calzoncini bianchi), al nostro inviato, sceso dal panfilo con i soui amici per recarsi un chilometro lontano dalla rada, dove lavorava la troupe. «E lei chi è?» , rispose a sua volta l’inviato al Di Napoli, seguito a ruota da due carabinieri. Il Di Napoli dichiarò che la presenza dell’inviato di Tempo, lo stesso che per primo aveva narrato il viaggio RosselliniBergman a Stromboli, non era gradita a Vulcano, dove lavorava la Magnani.
L’inviato disse che per un giornalista vi sono soltanto avvenimenti, che le polemiche e le gelosie tra due isole, due film, due registi, due artiste, due vulcani non lo interessano minimamente. Dopo un’ora di discussioni sotto il sole, arrivò Anna Magnani, che disse: «C’è un giornalista, vengo a stringergli la mano, il resto non mi importa». Poi giunsero il direttore di produzione Besozzi e il regista Dieterle, che dissero all’inviato di Tempo: «Siamo a sua disposizione, fotografi, interroghi, intervisti, è stato un deplorevole equivoco».


L. Sorrentino

(grazie a Daniele Palmesi)