Anna Magnani è forse l’unica attrice italiana cui la sola qualità di attrice appare riduttiva o comunque incompleta. La lacunosità di quella natura indomabile, ignota agli altri (e in parte anche a se stessa), è alla ricerca di tutte le infinite sfumature dell’Arte, che appaiono imponderabili e perciò misteriose, affascinanti.

L’anima sensibile che abbia il privilegio di imbattersi nella visione di Anna Magnani non può che rimanere emotivamente coinvolto da un talento cui la percezione umana non scruta confini: la Magnani non è catalogabile, la sua arte non è univocamente definibile.

Questa piccola figura bruna, violenta e onesta, romanamente febbrile, avrebbe potuto ridursi (si fa per dire) ad uno dei tanti personaggi della secolare tradizione popolare romana. E invece no.

Sentiamo che c’è dell’altro, non sappiamo bene cosa, ma c’è. E perché lo sentiamo? Forse non ci è dato saperlo.

Non certamente lei ci svela se stessa, sia pure inconsapevolmente. Eppure ogni ritratto della Magnani, che abbia una pur minima pretesa di completezza, ci appare insoddisfacente. La commistione tra l’artista e la donna si rivela per la Magnani, in fin dei conti, persino banale ma anche confutabile: quanto di Anna nella Magnani e quanto della Magnani in Anna? In quel modo? In quello sguardo o forse in quel sospiro? Quel tono della voce o quel passo? Quel suo tacere con le parole e parlare con il silenzio?

Chissà. Sarà proprio questa relativa assenza di certezze che impedisce una compiuta analisi a renderci tanto cara e amata Anna Magnani.

Potremmo anche rievocare l’assunto, di pirandelliana memoria, che attribuisce immortalità all’Opera del mortale Autore: ma possiamo davvero pensare che la nostra “autrice” sia davvero morta? Le sue interpretazioni, giunte a noi grazie alla riproduzione meccanica, appaiono così vive da rendere inconcepibile qualsiasi pensiero contrario.

Non un suo capriccio o un’illogica contraddizione. La necessità, rispondente ad esigenze di giornalistiche e divulgative, di racchiudere la Magnani in schemi precostituiti o, peggio ancora, costruiti sulla sua figura in un dato momento della sua vita, ha inevitabilmente condotto nel corso del tempo ad una stratificazione di opinioni e analisi, quasi a tante Magnani che non possono né potranno mai incontrarsi.

Troppo grande. Troppo grande per tutti, troppo grande anche per se stessa.

Maestra nel celare, dietro una maschera perfetta e aderente, la sottile inquietudine e assurdità della vita, l’umana incapacità di comprenderla e accettarla. Ma anche buffa, irriverente, anticonvenzionale, moderna, provocatoria. La totale cupezza che storicamente avvolge la sua immagine si rivela di fatto inesatta: solo le anime più forti e consapevoli sanno vivere pienamente scontrandosi con le proprie emozioni, ma sempre alla ricerca di una conciliazione con sé e con gli altri.

Anna Magnani oggi, nel nostro secolo confuso e contraddittorio, rappresenta (malgrado l’oblio che le riservano le Istituzioni) un pensiero, un pensiero positivo che rievoca e attualizza non solamente un pezzo significativo della nostra Storia recente ma anche e soprattutto un ventaglio di valori che essa custodisce e preserva.

Non solamente una grande interprete, forse la più grande del nostro Paese, ma la Donna che, da una visuale privilegiata, ha messo a fuoco senza cristallizzare le nostre domande, le nostre esigenze, i nostri desideri, i nostri dolori, i nostri timori. In lei ci riconosciamo, molti senza nemmeno aver mai potuto incrociare il suo sguardo o stringerle la mano o magari parlarle. Eppure, per chiunque la ami è una presenza viva, mai un’assenza. Manca nel fisico, certo, ma da qualche parte deve pur rimanere ad osservare quanto è forte il legame che ancora la tiene qui.

Parlare di lei, oggi, chiamandola anche “Anna” o “Nannarella”, con sfrontata confidenza, è appunto una umanissima esigenza di contestualizzarla e viverla nel nostro tempo.

È forse un modello, un paradigma a cui fare riferimento? Si, forse lo è, e come potrebbe non esserlo? Il tempo non ha corrotto la sua immagine, quel suo “mistero” che rompe e attraversa i confini della finzione scenica con inconcepibile naturalezza per farci domandare ancora “Chi è Anna Magnani?”, credendo di poter attendere una risposta che sia davvero quella “giusta”.

Non la comprenderemo mai. Troppi gli elementi che ci mancano, troppe cose ci sfuggono. Ma possiamo sentirla. Sentirla tra le note di una canzone popolare, tra i profumi di Roma, tra l’armonioso miagolio di una colonia felina, tra i silenzi malinconici della notte. E forse sentire è ancora più bello di qualsiasi comprensione.

di Mariangelica Lo Giudice
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