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ANNA MAGNANI E IL CINEMA

Anna Magnani approda al cinema relativamente tardi rispetto a molte delle sue colleghe. Il suo viso viene da molti definito poco cinematografico, poco adatto al cinema di regime con donne esteticamente perfette, che rispecchiano i classici canoni di bellezza. Persino suo marito, il regista Goffredo Alessandrini, non crede in lei sul grande schermo.

Il primo ruolo lo ottiene ne La cieca di Sorrento di Nunzio Malasomma (1934). Seguiranno piccole parti, ruoli minori e poco incisivi. Vittorio De Sica, però, saprà valorizzarla, affidandole il ruolo di una canzonettista nel suo film, Teresa Venerdì. Siamo nel 1941 e gli italiani, pur formalmente in guerra da un anno, continuano a vivere in un clima rilassato e tranquillo. Un clima che però, purtroppo, non sarà destinato a durare. Nel 1944, la Magnani interpreta il ruolo della vita, la sora Pina di Roma città aperta, con la regia attenta e coraggiosa di Roberto Rossellini. E’ Storia.
Il film la consacra attrice dell’anno, il cinema la nota e la acclama. Il capolavoro di Rossellini diviene manifesto di un’epoca, racchiudendo in sé (oltre alle innovazioni tecniche) un indiscusso e pregnante valore simbolico. La sora Pina che muore sotto il fuoco tedesco è il volto dell’Italia, con le sue sofferenze e le gelide speranze di rinascita a nuova libertà.

Ora i registi cercano Nannarella, che in un anno interpreterà cinque film da protagonista, in ruoli da popolana dall’animo forte, buono e sincero, come l’indimenticabile personaggio dell'”Onorevole Angelina“, facendo innamorare di sé il popolo più genuino di Roma e dell’Italia intera.

Ma è suo anche il volto della donna abbandonata e sofferente nell’episodio “Una voce umana”  (tratto dall’omonimo monologo di Jean Cocteau). E forse in questo ruolo sono due le donne in scena, la protagonista e la Magnani donna, che riversa nella disperata telefonata al suo amante tutte le sue sofferenze più intime, le speranze che muoiono lentamente, i respiri, le lacrime e tutte quelle infinite emozioni di un’anima che ama e viene abbandonata. E’ ancora lei la donna del secondo episodio, “Il miracolo”, che andrà a comporre il film “Amore” (diretto ancora da Rossellini, che uscirà nel 1948).

Per Luchino Visconti, suo amico di lunga data, è Maddalena Cecconi, (Bellissima 1951), l’ingenua madre di borgata romana che sogna per la figlia un mondo nel cinema. Uno dei ruoli senza dubbio più incisivi della Magnani, che alterna momenti allegri a momenti di sincera commozione. Il personaggio si sposa con il suo temperamento e Visconti ha finalmente la possibilità di lavorare con e per Anna.

La Magnani vive la sua piena consacrazione negli anni ’50, in Italia e all’estero: il suo nome è quello della prima attrice italiana a vincere il Premio Oscar, riconoscimento che ottiene nel 1956 grazie alla sua infuocata interpretazione di Serafina Delle Rose in “The Rose Tattoo”. La stampa americana la considera il simbolo del cinema italiano nel mondo e scriverà: «in confronto a lei le nostre attrici sono manichini di cera paragonate a un essere umano».

Anna Magnani intervistata dopo la vittoria dell’Oscar, 21 marzo 1956. Estratto dal documentario “La sua storia d’amore con l’America”.

Il trionfale ritorno in patria, tuttavia, non le permette di continuare su questa scia di successi e ruoli: l’Italia è cambiata, è in pieno boom economico.
Questo rinnovamento non risparmia il cinema, dove ora si impongono differenti canoni femminili. La Magnani, incredibilmente, diviene un “monumento” da viva. Troppo grande per tutti. Il giovane Pier Paolo Pasolini, però, non la dimentica e la vuole quale protagonista del suo secondo film: “Mamma Roma”. E’ forse quello di Mamma Roma uno degli ultimi ruoli della Magnani che più rimane nella memoria collettiva. La sua ultima apparizione cinematografica è un cameo nel film Roma (1972) di Federico Fellini, un ultimo saluto, diffidente e sorridente.

I film interpretati da Anna Magnani permettono ancora allo spettatore un coinvolgimento totale. La sua arte continua ad emozionare anche e soprattutto le nuove generazioni, quelle generazioni che non hanno potuto essere a lei contemporanee ma che grazie ai film possono viverla come attuale e sempre viva.

Chi le aveva sconsigliato il cinema, possiamo dirlo, ha preso un grosso granchio.

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Testo di M. Lo Giudice
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